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Droni in agricoltura: un volo sul futuro
News _ 15 Febbraio 2018
Sempre più spesso sentiamo parlare dell’utilizzo dei droni in agricoltura. Saranno questi strumenti innovativi la risposta alle nuove esigenze delle aziende agricole? Fai un salto nel futuro insieme a noi e scopri quando può considerarsi utile farne uso.
È una fresca mattina di una torrida estate del corn belt statunitense quando John, sorseggiando il suo caffè, si affaccia alla veranda di casa per scrutare il cielo. Poco dopo scorge Thoroughbred il velivolo che, a volo quasi radente, sta perlustrando le colture: una distesa di mais e soia che si sussegue quasi ininterrotta per chilometri.
Il velivolo è un drone alare a guida autonoma, corredato di telecamere iperspettrali, NDVI e alcuni sensori sperimentali, fra i quali laser scanner miniaturizzato. Thoroughbred esegue un volo alla settimana sui terreni del Consorzio, costituito nel 2022, di cui l’azienda di John fa parte: 25 mila ettari da monitorare per individuare i focolai di Diabrotica barberi su mais, la presenza di Halyomorpha halys, la nefasta cimice asiatica, su soia. Oltre a questo, il drone controlla anche fabbisogno idrico delle colture, per accertarsi che le attività impostate per il risparmio idrico in agricoltura siano corrette.
Al Data Center giunge un allarme diabrotica: il drone, che esegue una prima analisi dei dati, ha individuato un’anomalia e, grazie a un software specifico, comunica via radio le coordinate e le informazioni rilevate. In automatico i dati, chiari ed essenziali, sono trasmessi all’azienda agricola che gestisce l’appezzamento, nello stesso momento in cui l’operatore del consorzio inizia ad esaminarli.
John riceve il messaggio e l’app del suo palmare geolocalizza istantaneamente la posizione sulla pianta della sua azienda agricola. Quest’allarme per John non è una sorpresa: non aveva, infatti, comunicato al Consorzio l’intervento eseguito il giorno prima quando, per alloggiare la nuova pompa per l’irrigazione, aveva abbattuto alcuni metri quadri di mais. Compiaciuto, osserva il palmare pensando alla notevole precisione con la quale Thoroughbred e i suoi complicati strumenti avevano reagito di fronte ad una piccola anomalia. La scelta di aderire al Consorzio si stava dimostrando vincente: il costo era ampiamente ripagato dal risparmio ottenuto nell’impiego di fitofarmaci. Ora, però, doveva avvisare il Data Center prima che i tecnici provvedessero ad inviare il Mule, come familiarmente chiamavano il drone esacottero a guida programmata impiegato nei trattamenti localizzati sulle colture. Piante di mais distese al suolo in un’area delimitata sarebbe stato in tutti i casi, tranne questo, un segno inequivocabile della voracità delle larve di questo perfido coleottero.
Dopo due ore di volo Thoroughbred atterra a circa 3 km dall’azienda di John, su una pista speciale, dove gli addetti provvedono alla sostituzione delle batterie e al recupero dei dati memorizzati durante il volo per la loro elaborazione definitiva. Dopo trenta minuti il Drone decolla nuovamente.
Funzionerà così o, almeno, sarebbe bello che così potesse funzionare. Affinché l’immagine futuristica di un’agricoltura di precisione basata sull’uso di droni si trasformi in realtà, devono verificarsi alcune condizioni. Per prima cosa, bisogna ragionare sulla loro utilità.
Droni in agricoltura: utilità
Se e nella misura in cui i droni riusciranno a fornire un servizio utile vi sarà una evoluzione nel loro impiego in agricoltura. Perché il servizio diventi utile è necessario che l’informazione fornita dal drone non fosse prima o conoscibile o rilevabile oppure che tale informazione fosse molto più costosa da raccogliere. Essendo però il drone niente di più che un mezzo di spostamento, come può esserlo un Quad (spesso usato in agricoltura di precisione per eseguire rilievi) o un trattore, la vera evoluzione tecnologica dovrà riguardare i sensori per i rilievi a distanza, cioè gli occhi del drone. I sensori che lavorano per contatto o a distanze molto ravvicinate non sono ovviamente applicabili ai velivoli, ma possono esserlo, come di fatto avviene, su mietitrebbie, altre macchine per la raccolta, attrezzature specifiche e macchine per l’orticoltura.
Se i sensori possono essere applicati anche su trattori e attrezzature, il vantaggio che possono offrire i droni in agricoltura è quello di poter operare dove il trattore non può passare: con colture in atto e già sviluppate, come il mais del racconto. In questo caso l’impiego del drone va correlato al vantaggio economico offerto, che dipende dal valore dell’informazione fornita e dal costo per procurarla. Nel caso di colture estensive caratterizzate da basso reddito, l’unico modo per ridurre i costi è quello di migliorare l’efficienza del servizio incrementando le superfici coinvolte nell’osservazione. Peraltro oggi in Italia l’impiego di veicoli autonomi a bassa quota è di fatto precluso da Enac che impone la presenza a terra di un pilota dedicato (anche solo per mero controllo). Ciò riduce di molto i vantaggi conseguibili da un’economia di scala, ma non li elimina completamente. Più problematica l’autonomia dei velivoli a rotore spesso limitata a qualche decina di minuti di volo, anche se sul mercato stanno “planando” droni per agricoltura con autonomie che sfiorano l’ora, pur con costi d’acquisto contenuti.
Riguardo al valore dell’informazione, la stessa può essere sufficiente a giustificarne l’impiego nel caso di parassiti alieni e invasivi, quali ad esempio la diabrotica che, nella “versione” presente in Europa, Diabrotica virgifera, dà preoccupazioni quasi paragonabili al suo cugino americano.
I droni in agricoltura, però, potrebbero diventare in futuro più efficienti e meno costosi, divenendo competitivi rispetto ai mezzi terrestri. Oggi, in molti casi, il costo dell’informazione fornita dai droni è da 2 a 6 volte più alta di quella recuperata a terra. D’altra parte, il trattore, per svolgere le diverse operazioni, deve transitare sull’intera superficie e, quindi, il “costo del trasporto” dei sensori è già assorbito dall’operazione. Il rilievo dell’informazione contestuale allo svolgimento dell’operazione (ad esempio di diserbo o di trattamento) può essere meno accurato e, di conseguenza, anche l’elaborazione dell’informazione lo sarebbe. Questo è un caso che si verifica quando i sensori devono rilevare un parametro (presenza di vegetazione per il diserbo o vigoria della coltura per la concimazione) e l’attrezzatura deve applicare con Rateo Variabile, cioè distribuire più o meno principio attivo in funzione dell’informazione letta pochi istanti prima. Poter eseguire queste operazioni secondo mappe di prescrizione realizzate in modo ponderato, su rilievi di campo fatti in precedenza, può fornire un enorme vantaggio. Si tratterà di verificare se la monetizzazione di questo vantaggio riesce a coprire i costi di un rilievo ad hoc e se il mezzo più conveniente per farlo sia un velivolo.
Infatti, già oggi sono disponibili informazioni sulla vigoria delle colture determinati in conformità a rilievi effettuati da satellite (ad esempio Sentinel-2; WorldView-2; Rapideye) che, pur offrendo una risoluzione inferiore, hanno il grande pregio di essere gratuiti o costare pochi centesimi per ettaro.
Droni in agricoltura: i sensori
Allo stato attuale, i sensori utili in agricoltura che possono operare da qualche decina (o migliaia) di metri di distanza dal soggetto non sono molti e sono tutti riconducibili a letture della riflettanza di particolari lunghezze d’onda che caratterizzano la radiazione solare. Alcuni sensori misurano le lunghezze d’onda del visibile, altri poche selezionate lunghezze d’onda, altri lavorano su spettri al di fuori del visibile, come i sensori multispettrali. Il racconto in epigrafe cita il sensore NDVI: l’unico attualmente applicabile (e largamente applicato) con successo in agricoltura. Questo fornisce una risposta sulla “vigoria della coltura” analizzando il rapporto fra la riflettanza, cioè le onde elettromagnetiche riflesse dalla coltura, e la radiazione (solare) incidente di particolari lunghezze d’onda (vicino infrarosso o NIR). Le lunghezze d’onda sono scelte fra quelle alle quali la clorofilla reagisce in modo tale da rilevare informazioni sull’attività fotosintetica. Quando questa è elevata (in proporzione alla disponibilità di luce) si desume che la pianta sia sana e posta nelle condizioni di vegetare, viceversa può esserci un problema. Le cause di una ridotta attività fotosintetica possono essere molte: la più comune d’estate è una carenza d’acqua che impedisce alla pianta di aprire gli stomi e raccogliere dall’atmosfera la CO2 necessaria alla fotosintesi; oppure una carenza di azoto, che non permette di sviluppare enzimi necessari alla fotosintesi, o un attacco parassitario che altera l’intero metabolismo della pianta.
Il sensore è quindi coadiuvato da un algoritmo che traduce l’informazione fisica (cioè il rapporto fra l’intensità della radiazione solare riflessa e quella incidente) in un’unità informativa agronomica (cioè un indice che esprima la differenza nella capacità di vegetare, opportunamente normalizzato – cioè lo NDVI).
Un secondo livello di elaborazione deve invece interpretare queste unità informative agronomiche valutando (o aiutando l’agricoltore a valutare) le possibili cause di eventuali valori discordanti. Per certe colture, disponendo di informazioni sull’andamento stagionale, sulle tecniche colturali applicate e sulle caratteristiche pedologiche, si può risalire con discreta precisione al problema. Negli agrumeti il drone è impiegato per individuare le piante potenzialmente colpite dal virus della tristezza (Citrus Tristezza Virus o CTV).
I droni potrebbero essere equipaggiati anche con sensori che rilevano la presenza di gas, particolati e aerosol atmosferici che però al momento non trovano impiego in agricoltura.
Droni in agricoltura: i Mule
Affibbiamo, in ricordo di Asimov, questo nome a quei droni multirotore che possono essere impiegati nell’esecuzione di particolari operazioni agricole, per ora tutte confinate nella distribuzione di prodotti fitofarmaci. Peraltro, in un’ottica di agricoltura sostenibile, gran parte delle applicazioni riguardano la distribuzione di prodotti biologici o per la lotta biologica come funghi simbiotici o iperparassiti (ad esempio il Trichoderma,), acari predatori e insetti utili. In questi ultimi casi si distribuiscono le uova dell’artropode, talvolta protette da una capsula di cellulosa, come avviene per il Trichogramma brassicae, antagonista della piralide del mais.
Anche la distribuzione di prodotti chimici di sintesi può trarre vantaggio, potendo operare solo dove serve (ad esempio una piccola parte dell’appezzamento), anche con coltura già sviluppata. Oltre a questo, i droni in agricoltura possono eseguire il trattamento necessario su tutta la superficie, anche quando piogge o altri eventi meteorologici sconsigliano o impediscono il transito dei trattori sul campo, e sui terreni molto scoscesi (come quelli della cosiddetta viticoltura eroica).
La capacità di trasporto e l’autonomia sono ancora ridotte, ma già consentono, con mezzi predisposti per voli programmati e capacità del serbatoio per liquidi dell’irroratrice di 2-3 litri, di eseguire il trattamento su 4-5 ettari di vigneto in una giornata di lavoro.
Va però precisato che l’impiego dei droni nella distribuzione di prodotti fitofarmaci è per ora sostanzialmente vietato dalla normativa. Infatti, i droni sono equiparati ai mezzi arei convenzionali (elicottero e aeroplano) e, come tali, in base all’art. 13 del D.Lgs. 14.08.2012, n. 150 e all’art. 9 della Direttiva 2009/128/CE, non possono essere impiegati nella distribuzione di fitofarmaci in Italia e negli altri paesi della Comunità Europea. Possono essere concesse autorizzazioni in deroga dalla regione per singoli casi particolari.
I droni, però, possono distribuire prodotti non catalogati come fitofarmaci, come ad esempio il Trichogramma in capsule, eseguire il lancio di insetti utili e la distribuzione di prodotti sui quali è dichiarata la possibilità di una distribuzione con mezzo aereo.
Conclusioni
Il futuro dell’agricoltura sarà sicuramente quello di un’agricoltura di precisione, ma non è altrettanto certo che il futuro dell’agricoltura di precisione sarà basato sui droni. Ciò non accadrà fintanto che si opererà con quadri o esacotteri, con bassa autonomia di volo, bassa capacità di carico, che operano sostanzialmente teleguidati da terra, caratterizzati da bassa capacità di lavoro e quindi costosi.
Perché il drone possa svolgere un ruolo importante in agricoltura, è necessario che avvenga:
- una riduzione dei costi di gestione del drone rispetto ai mezzi terrestri (perseguibile migliorando l’autonomia, prediligendo droni alari, acquisendo la possibilità di volo autonomo, creando consorzi di agricoltori);
- un potenziamento dei droni operativi, cioè di quelli che eseguono l’intervento e ciò presuppone la disponibilità di velivoli con maggiore portanza, di dispositivi di distribuzione più efficaci e leggeri, di un supporto agronomico completo;
- un ampliamento della tipologia delle informazioni rilevabili a distanza (e quindi anche dal cielo);
- un miglioramento della capacità interpretativa delle informazioni raccolte (cioè la correlazione fra informazione fisica e problematica agronomica).
Speriamo che questo articolo ti sia stato utile per comprendere meglio come possono essere utilizzati i droni in agricoltura e quando è conveniente utilizzarli. Se dovessi avere qualche domanda più specifica, non esitare a contattarci! Un nostro esperto Forigo sarà felice di fornirti tutte le informazioni di cui hai bisogno.
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